Due note sulle opere e la poetica di Vanni
di Marcello Pecchioli

Vanni

Parliamo di colore, di cromìe e di paesaggi. Le immagini di Vanni hanno a che fare con la solarità dei paesaggi mediterranei, con una palette cromatica che ritroviamo negli scorci marini, negli angoli e negli anfratti di una natura non violata, frammenti edenici di paradisi terrestri che non siamo in grado di scorgere completamente se non attraverso una finestra iconica, a volte molto sottile, che l’autore sembra metterci a disposizione, con estrema discrezione e pudore ma rivendicando il suo ambiente cromatico e figurale.

E’ una modalità di vedere la pittura quasi elementare, basica, primigenìa, in cui la struttura visiva del percepito sembra essere una specie di specchio realistico, inviolato, di nostre ancestrali memorie e ricordi.

Non ci sono soggetti umani né animali in queste immagini ma solamente una specie di silenzio raggelato in cui potremmo pensare di cogliere dei rumori e dei suoni ambientali che però la pittura, per sua propria natura, non è in grado di restituirci ma che la pittura di Vanni può, comunque, provare ad evocarci.

Ci rimangono dunque queste cromìe inattese, questi chiaroscuri, questi landscapes marini e boschivi, questa teoria di colori, foglie, fiori, architetture naturali, anfratti, scogliere, rocce, spiagge, come se il mondo che conosciamo e che ha reso il nostro habitat un luogo globale con una grande rilevanza antropica e che ha modificato, in permanenza, tutti gli altri luoghi del pianeta attraverso il lavoro dell’uomo,
fosse quasi stato cancellato di colpo e allontanato da una natura dolente, effimera, casuale ma che è diventata, comunque, l’unica protagonista e attrice del nostro piano visivo e mnestico, almeno a giudicare dalle tele e dai soggetti raffigurati che non mostrano mai tracce di esseri umani.

Allora qui si tratta di capire se ci troviamo di fronte ad un ultimo epigono dell’impressionismo, ad un autore che guarda alle opere di Rousseau il Doganiere e di Ligabue, o di Monet , di un esploratore di una natura incontaminata, in cui i segni e le tracce di civilizzazione sono state occultate e cancellate per sempre, come se il mondo fosse nato ieri e l’impronta umana non fosse mai esistita.


Ma il tipo di opere di Vanni sono in sottrarre, non ci sono velleità esotiche né l’esposizione di fiere fantastiche e di animali, uccelli e grandi predatori come, ad esempio in Ligabue, né capannelli di giovani donne agghindate per le passeggiate all’aperto né persone che conversano, amabilmente, in piccoli gruppi amicali, come, appunto, in Rousseau il Doganiere, o come nel consesso di amici in “Dejeuner sur l’ herbe” di Claude Manet.

Essenzialmente siamo, invece di fronte ad elementi che potremmo chiamare memorie di una macchia mediterranea, la più antica e longeva degli eco-sistemi della vegetazione italiana antica, ancora oggi presente sul suolo italico da almeno alcuni millenni di anni ad oggi.

Dunque rimangono solo alcuni aspetti, la vegetazione, la natura, i colori, la brillantezza dei dipinti, i vuoti, i silenzi profondi, le finestre cromatiche inattese. Gli spazi figurali.
E allora vengono in mente altri spazi vuoti e la fissità, quelli della metafisica, degli spazi architettonici e delle piazze silenti di De Chirico, le atmosfere sospese di Delvaux e di Magritte, gli altri spazi, onirici ed esotici, di Dalì e di Max Ernst.

Diciamo che nei dipinti di Vanni potremmo vedere alcuni aspetti degli echi di questo tipo di pittura, soprattutto nelle pause, nei cromatismi e nelle zone di sospensione. Un eco indiretto di quello che ci hanno comunicato i surrealisti ma anche la nuova Metafisica di De Chirico e del fratello Savinio.

Ma c’è un altro elemento che volevo sottolineare ed è quello legato al “jardin”, ad una natura circoscritta e delimitata, che troviamo, ad esempio nel cinema francese intimista di Eric Rohmer in cui il suo realismo viene messo al servizio delle campagne e della vegetazione estiva di piccoli borghi della provincia francese, in cui il grande regista ambienta spesso i suoi piccoli drammi e commedie romantiche che mostrano, in dettaglio, il fiorire e il rigoglio della natura e lo svolgersi ciclico delle stagioni e le passioni amorose dei suoi personaggi.

Lo stesso amore verso i giardini e i frutti della natura in un film di Jean Becker con Daniel Auteuil, “Il mio amico giardiniere” nella parte di un pittore sofisticato parigino che, dopo una lunga e contrastata amicizia, con un giardiniere che accudisce l’orto e il giardino in una sua residenza estiva, ne ritrae tic e comportamenti nella sua ultima produzione pittorica che sarà interamente dedicata alla vita e alla poetica del suo amico giardiniere, tragicamente scomparso dopo una terribile malattia.


Ecco, ritroviamo echi di quest’amore per i giardini e fiori anche in alcune opere di Vanni e lui stesso ha studiato pittura a Parigi e ha potuto catturare alcuni segni e stilemi degli impressionisti, che, evidentemente, lo hanno fortemente influenzato nel suo segno pittorico, materico ed evocativo. Un segno e una cifra stilistica che ha molto a che fare con queste atmosfere pittoriche e memorie naturalistiche e ancestrali.

Vuoi Informazioni?
Invia adesso la tua richiesta.
info@vanni314.it






I campi contrassegnati con l'asterisco sono obbligatori.